Cosa troverai? Esperienza di espatrio con famiglia, Taiwan con bambini, trasporti, popolazione, cultura, società, valori asiatici
Vuoi sapere come si vive in una città dell’Asia orientale, che ha le caratteristiche di una città di provincia ma i numeri di una metropoli?
Sei curioso di conoscere le abitudini degli abitanti di Taiwan e quale è il loro atteggiamento nei confronti degli expat?
In questo articolo troverai la narrazione della nostra quotidianità a Kaohsiung, grande porto nel sud di Taiwan che conta 2 milioni e 770 mila abitanti.
Vi racconterò come si vive in questa città e quali cose si possono fare durante il mese più caldo dell’anno. In particolare, proverò a raccontarvi alcuni aneddoti riguardo ai taiwanesi, alle loro tradizioni e cultura.
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Fascinazione occidentale
Il primo giorno in cui abbiamo messo i piedi su un vagone del Kaohsiung Light Rail, una linea di trasporto circolare che insieme alla metropolitana (lunga 28 km) e agli autobus garantisce gli spostamenti urbani, ho capito che il nostro essere stranieri costituiva un’eccezione in questa città.
Kaoshiung è un grande porto commerciale, situato nel sud ovest dell’isola di Taiwan. Sulla carta, si tratta di una metropoli di 2, 77 milioni di abitanti, fondata alla fine della dinastia Ming e colonizzata prima dagli olandesi, poi dai giapponesi, che ne fecero un centro portuale e industriale moderno ed efficiente. Ma la popolazione attuale di questa città (età media 43 anni) è quasi esclusivamente di origine cinese (Han).
A differenza della capitale Taipei, dove si concentra la maggioranza degli immigrati da altri paesi, a Kaoshiung gli occidentali sono più rari, soprattutto gli europei, e soprattutto i bambini! E questo di per sé non è un problema, perché gli abitanti di Kaohsiung sono assolutamente gentili ed accoglienti con tutti.
Ma il loro atteggiamento sui mezzi pubblici, dove avevano modo di osservarci, è stato sorprendente in quel primo giorno (e anche nei seguenti!). Perché non si limitavano a salutarci, con il loro inchino riguardoso: tutti indicavano ostentatamente nostro figlio, continuando a inclinarsi in avanti. Di fronte ai nostri sorrisi muti, si avvicinavano, soprattutto gli anziani. Indicando più precisamente gli occhi del bambino, coinvolgevano i vicini di sedile e gli altri viaggiatori, mugolando incredibili OOOH di sorpresa. Ora, nostro figlio aveva cinque anni, un visino con i lineamenti regolari e indubbiamente due grandissimi occhi scuri, luminosi e incorniciati da lunghe ciglia. Mimando la forma tonda dei suoi occhi, ci facevano capire che per loro quelli erano occhi non comuni. Nessuna interazione in inglese era possibile. I giovani taiwanesi, gli unici che capiscono l’inglese, avevano la tendenza ad essere timidi e preoccupati di non avere un livello linguistico sufficiente per conversare con noi.
Nei giorni successivi abbiamo notato che questo interesse benevolo nei confronti di nostro figlio non si limitava ai suoi occhi. Quando lo portavo in giro in bicicletta, seduto sul seggiolino dietro di me, i guidatori delle auto che si fermavano ai semafori accanto a noi lo indicavano senza scrupoli. Un po’ come si faceva da noi trent’anni fa, a forza di gomitate, per indicare qualcuno di eccentrico. Quando lo portavo al parco oppure al mercato, gli anziani che facevano la spesa rallentavano la propria già lenta andatura fino a fermarsi, basiti. Ovunque le persone locali ci esaminavano, sorridendo. Spesso, parlando a ruota libera nella loro lingua, si avvicinavano per sfiorargli il viso e accarezzargli la testa.
Allora abbiamo creduto che fosse una questione di pelle, data la sua carnagione chiara e delicata. È noto che in alcuni paesi asiatici, i tratti fisici occidentali sono visti come esotici e affascinanti e possono ricevere molta attenzione positiva. Quando però i passanti hanno iniziato a offrirci dei regali improvvisati, abbiamo definitivamente capito che questo atteggiamento poggiava su elementi di spiritualità e su una distorsione culturale profonda: ovvero che tratti somatici straordinari rendessero quel bambino unico e speciale. Un ananas, delle pannocchie, una banconota da cento dollari taiwanesi… E più mio figlio sgranava gli occhi di fronte e quei doni, più loro manifestavano gioia. Impossibile rifiutare: si mettevano le mani nei capelli e si disperavano, scuotendo la testa.
La frutta a Taiwan ha molti significati, viene portata come offerta nei templi e noi l’abbiamo accettata ogni volta come dono di buon auspicio. Ancora non conoscevamo il rituale del Ghost Money (il denaro per gli spiriti degli antenati), che vi racconterò alla fine dell’articolo, ma era chiaro che quei regali avessero un significato legato alla tradizione o alla religione. Per le sue caratteristiche, rare in quel contesto, il bambino che trascinavamo per mano nel calore dell’estate taiwanese veniva visto come un elemento di rinascita speciale e per questo gli venivano rivolte offerte.
Ogni tanto, nel pomeriggio dopo la siesta, partecipiamo alle classi sportive dei Teddy Bears taiwanesi. Lì, i bimbi imparano l’inglese zappando le aiuole del Parco Aozihdi, nel distretto di Gushan. Giocano a golf, basketball, soccer, o ad acchiapparella, mentre io apro finalmente un libro, seduta su una panchina, succhiando tè gelido aromatizzato a un qualsiasi frutto tropicale. Tutto intorno laghetti abitati da colonie di tartarughe d’acqua, lucertole, cigni e uccellini di ogni tipo. Qualche volta, ci sono spazi improvvisi di silenzio assoluto o musiche sottili, di pace, di verde e di riposo. Ma la maggior parte del tempo, le gocce di sudore, che permeano costantemente la nostra pelle, bruciano negli occhi e mi impediscono di andare oltre la prima pagina. Resto immobile, nella posizione perfetta di siddhāsana, con le gambe incrociate e la schiena eretta.
Può sembrare che io mediti, invece la mia mente segue il suo corso. Mi trovo a otto fusi orari dall’Italia. Ogni giorno imparo cose che presto dimenticherò. Rifletto sul fatto che i taiwanesi sono molto preoccupati per ciò che i visitatori pensano del loro paese, sono molto orgogliosi delle proprie tradizioni e del cibo, di cui sono tutti ossessionati. Ho imparato che ogni cosa commestibile si può essiccare: pesce, alghe, molluschi, fiori, frutta, vegetali; che il sapore delle radici commestibili varia, passando dal dolce al piccante, come lo zenzero, fino a toccare note amarognole e consistenze inaspettate. Ad esempio, immaginavo che la radice di taro avesse un sapore arboreo, o minerale, invece sa di biscotto appena sfornato!
Rifletto anche sul rituale del Ghost Money, che mi ha incuriosito fin dai nostri primi giorni qui. Fuori dalle abitazioni, dagli esercizi commerciali e dai templi, è possibile notare, fin dal mattino, dei bracieri accesi, proprio davanti alla porta principale. Vengono alimentati da persone di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali con bellissime banconote colorate, chiamate Joss paper, che vengono gettate nelle fiamme a pacchetti. Joss paper significa letteralmente carta per gli dei e si tratta in origine di rettangoli di carta di bambù o di riso, fatta a mano e decorata con stampe, simboli o motivi religiosi.
Luglio, il mese più caldo
Imperterriti, abbiamo continuato a frequentare i luoghi pubblici, privilegiandoli rispetto ai locali più esclusivi, terrazze e bar degli hotel, destinati a un pubblico straniero e/o benestante. Anche a causa del calore, dell’umidità irrespirabile e della nuvolosità costante del mese di luglio, abbiamo preso a frequentare i musei e le piscine coperte.
Luglio è uno degli unici periodi di vacanza per gli scolari taiwanesi. La mattina spesso andavamo alla piscina municipale del Fengshan District, un po’ vetusta ma aperta alla libera balneazione. La piscina era un’immensa area piastrellata di bambini e anziani. Numerosi seguivano i corsi di nuoto, guidati da severissime istruttrici dalle spalle abnormi; altri imparavano a nuotare con nonni ultra esigenti, che li istruivano in maniera seria e metodica. Ma i risultati non sembravano entusiasmanti, come se i bambini di una decina d’anni fossero stati messi in acqua per la prima volta (sulla relazione dei taiwanesi con l’oceano tornerò in un prossimo post). E anche qui, tutti gli sguardi su mio figlio, che a cinque anni si tuffava senza braccioli o galleggianti di alcun tipo.
Come in un film comico, dopo poche vasche, la sua resistenza veniva meno e chiedeva di spostarsi nelle ampie vasche del percorso benessere dove tutti gli anziani erano impegnati ad occupare le docce idromassaggio. In particolare, sembravano apprezzare un tremendo getto su spalle e cervicale che, oltre a spostarci dalla posizione eretta togliendoci il costume, funzionava tipo uno scrub su ogni centimetro del corpo. E questi anziani impassibili, con gli occhi chiusi, la cuffia, gli occhialini, talvolta con la mascherina chirurgica (in quei mesi la mascherina si portava ancora ovunque a Taiwan, anche all’aperto), piantati sotto una cascata d’acqua rovinosa. Aprivano gli occhi soltanto per guardare noi, distesi sotto alle docce orizzontali, effetto pioggia nella foresta, indaffarati nel nostro show: “Vieni qui tesoro, ti proteggo io!” “No, mamma, ti proteggo io…”.
Poi, immancabilmente, alcuni di loro venivano a parlarci – in cinese, ovvio – indicando i nostri visi e ridendo soddisfatti. Col passare delle settimane e dei mesi, abbiamo fatto un abbonamento e siamo diventati abbastanza conosciuti, in quanto unici stranieri che avessero mai messo piede in quella struttura. Ci hanno insegnato i loro lunghissimi nomi e a contare, in cambio di piccole lezioni di inglese. Ci hanno chiesto di vedere l’Italia sulla mappa (quindi tutte le mani sgocciolanti a indicare il display del mio telefono), perché al di fuori della propria isola e della grande Cina (China Mainland), gli unici paesi esteri che sapevano nominare erano USA, India e UK.
La permanenza giornaliera all’interno della piscina non ha un limite. Ai lati delle vasche, ci sono distributori di acqua e di tè caldo ai quali gli anziani si abbeverano regolarmente. Le vasche sono collegate da camminamenti, con vortici e correnti d’acqua molto rivitalizzanti. Ci sono docce emozionali e brume dalle mille intensità. E ci sono attrezzi appesi sopra le vasche, tipo anelli e aste verticali, ai quali vecchi e bambini si appendono per fare esercizio fisico. L’aspetto del benessere e del prendersi cura del corpo lo avevamo già osservato nei parchi, dove persone di tutte le età praticano il Qi gong, il Tai chi, lo Yoga, o semplicemente camminano. La concezione diffusa qui esprime una spiritualità corporea nella quale il luogo di culto è proprio il nostro fisico, l’autentico tempio, e trova le proprie radici nelle concezioni taoista, buddista e confuciana.
Negli spogliatoi della piscina, sono colpita dalle donne anziane. Dalla cura che mettono nel massaggiarsi con un velo di crema o unguento. Sono stupita perché non hanno nessuna attenzione per i capelli, per il look, né per i vestiti. Il livello di umidità dell’aria fa sì che nessun taglio possa essere valorizzato da una piega a phon. Molte portano diversi strati di t-shirt e pantaloni in cotone male assortiti. Spesso, per proteggersi le braccia e il petto dal sole furente che ci aspetta all’uscita, infilano sopra agli indumenti una giacca a vento al contrario, con l’apertura sulla schiena. Alcune portano soltanto le maniche delle giacche, che fissano alle spalle con elastici. Altre addirittura i guanti di lana. E fuori ci sono trentotto gradi. Molte sono tendenzialmente povere: mettono ad asciugare gli stessi capi ogni sera, dopo averli lavati, sulla strada davanti alle proprie abitazioni. Noi ci limitiamo a proteggerci con una camicia a maniche lunghe, occhiali e cappellino.
Torniamo in metropolitana, attraversiamo Central Park. Siamo affamati e pranziamo al volo, mangiando cose che non sappiamo cosa siano. I chioschi allineati ovunque propongono numerose varietà di ravioli al vapore, ma ciascuno prepara un solo tipo di ripieno. I vari fagottini che a noi sembrano tante varietà di crescent-shaped dumplings (gao) o purse-shaped dumplings (bao) hanno buffi nomi che non sappiamo pronunciare. Ci sono le mezzelune, i pacchettini sbuffanti, gonfi e quasi trasparenti, le pagnottelle che sembrano mozzarelle; quasi tutti sono preparati con farina di riso, di frumento o di tapioca. Il ripieno può contenere: verdure, carne di maiale, gamberi, funghi shiitake, germogli, arachidi, taro, pasta di fagioli rossi. Quando i ravioli sono serviti in una zuppa, spesso nel brodo galleggiano anche delle tagliatelle. I take-away più strutturati propongono invece diverse carni, solitamente pollo, maiale e anatra, pesce fritto, zuppe, noodles e infinite verdure.
Ogni tanto, nel pomeriggio dopo la siesta, partecipiamo alle classi sportive dei Teddy Bears taiwanesi. Lì, i bimbi imparano l’inglese zappando le aiuole del Parco Aozihdi, nel distretto di Gushan. Giocano a golf, basketball, soccer, o ad acchiapparella, mentre io apro finalmente un libro, seduta su una panchina, succhiando tè gelido aromatizzato a un qualsiasi frutto tropicale. Tutto intorno laghetti abitati da colonie di tartarughe d’acqua, lucertole, cigni e uccellini di ogni tipo. Qualche volta, ci sono spazi improvvisi di silenzio assoluto o musiche sottili, di pace, di verde e di riposo. Ma la maggior parte del tempo, le gocce di sudore, che permeano costantemente la nostra pelle, bruciano negli occhi e mi impediscono di andare oltre la prima pagina. Resto immobile, nella posizione perfetta di siddhāsana, con le gambe incrociate e la schiena eretta.
Può sembrare che io mediti, invece la mia mente segue il suo corso. Mi trovo a otto fusi orari dall’Italia. Ogni giorno imparo cose che presto dimenticherò. Rifletto sul fatto che i taiwanesi sono molto preoccupati per ciò che i visitatori pensano del loro paese, sono molto orgogliosi delle proprie tradizioni e del cibo, di cui sono tutti ossessionati. Ho imparato che ogni cosa commestibile si può essiccare: pesce, alghe, molluschi, fiori, frutta, vegetali; che il sapore delle radici commestibili varia, passando dal dolce al piccante, come lo zenzero, fino a toccare note amarognole e consistenze inaspettate. Ad esempio, immaginavo che la radice di taro avesse un sapore arboreo, o minerale, invece sa di biscotto appena sfornato!
Rifletto anche sul rituale del Ghost Money, che mi ha incuriosito fin dai nostri primi giorni qui. Fuori dalle abitazioni, dagli esercizi commerciali e dai templi, è possibile notare, fin dal mattino, dei bracieri accesi, proprio davanti alla porta principale. Vengono alimentati da persone di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali con bellissime banconote colorate, chiamate Joss paper, che vengono gettate nelle fiamme a pacchetti. Joss paper significa letteralmente carta per gli dei e si tratta in origine di rettangoli di carta di bambù o di riso, fatta a mano e decorata con stampe, simboli o motivi religiosi. Si tratta di una delle più comuni offerte dedicate agli spiriti degli antenati. Per ingraziarsi gli spiriti benevoli, le famiglie bruciano il Ghost Money insieme ai bastoncini di incenso, pregano per avere prosperità, longevità e molti figli. Spesso in quel giorno preparano un pasto più elaborato, lo offrono al tempio, oppure lo tengono in serbo per gli spiriti degli avi.
Sulle tradizioni religiose taiwanesi, sulle superstizioni e sul cosiddetto mese degli spiriti (Ghost Month, il settimo mese del calendario lunare) tornerò in un altro post, perché trovo che la spiritualità degli abitanti di questa isola sia molto affascinante e complessa, intrisa di elementi mistici e religiosi appartenenti al buddismo e al taoismo, ma anche di leggende e credenze popolari, fatte di rituali contadini e di meravigliosi gesti scaramantici.
Ma questa è un’altra avventura, la troverete in un prossimo articolo!
A presto su Expat Experience, narrazioni espatriate.