Post 2. Expat Experience in Kaohsiung, Taiwan

Cosa troverai? Esperienza espatrio con famiglia, politica visti, politica sanitaria, trasporti, servizi, clima, paesaggio, popolazione, cultura, società, valori asiatici

Vuoi sapere come ci si sente quando atterri per la prima volta in una metropoli dell’Asia orientale?

Sei curioso di conoscere le diverse regioni dell’isola di Taiwan e le principali città dove viaggiare o abitare?

In questo articolo troverai la narrazione del nostro arrivo a Kaohsiung, la seconda città di Taiwan per grandezza e popolazione.

Vi racconterò delle caratteristiche di questa città, del suo clima, della nostra sistemazione.

Proseguendo nella lettura potrete ottenere informazioni interessanti riguardo ai servizi e alla politica dei visti, trovare idee e soluzioni ispiranti per i primi passi da compiere quando ci si trasferisce in una metropoli come Kaohsiung, che pur essendo completamente sconosciuta in Italia rappresenta la seconda città più popolosa del paese, con circa 2.770.000 di abitanti.

Ecco la nostra ExpatExperience.

Se vuoi condividere la tua, non esitare a scrivermi: info@expatexperience.net

Landing in Taiwan

La sera in cui siamo atterrati a Taiwan, era una notte di inizio luglio del 2022. Avevamo lasciato un’Italia leggera, dove le persone riassaporavano finalmente la dolcezza dell’aria estiva, dopo due anni di pandemia. Tuttavia, sapevamo che a Taiwan la politica sanitaria era diversa, con tutte le regole che questo avrebbe implicato.

A seguito di un lungo periodo di totale chiusura all’entrata degli stranieri (circa 2 anni), le frontiere erano state riaperte dapprima per i viaggi business e, poco a poco, anche per il ricongiungimento familiare, previa quarantena stretta di tre (3!) settimane, rigorosamente in stanza d’hotel (Quarantine Hotel). Nelle stanzette di questi hotel, sorti ovunque intorno all’aeroporto di Taipei, oltre ai viaggiatori confinati poteva entrare solamente il cibo, recapitato fuori dalla porta tre volte al giorno, e ne poteva uscire la spazzatura. La biancheria doveva essere conservata ben chiusa in sacchi di plastica, fino alla conclusione del periodo di isolamento.

I visti turistici hanno ricominciato ad essere concessi soltanto parecchi mesi più tardi rispetto al nostro arrivo, nell’ottobre del 2022.

L’aeroporto della capitale Taipei-Taoyuan ci ha accolti con una serie di corridoi lattescenti, deserti, costellati di check point dove funzionari sanitari bardati come tecnici di laboratorio (tute di biocontenimento, mascherine, occhiali, guanti) reggevano cartelli che ci indicavano il percorso obbligato per raggiungere le uscite.

All’uscita del terminal, taxi speciali (Quarantine Taxi), con autisti vestiti anch’essi come tecnici di laboratorio ad alto rischio biologico, ci avrebbero scortato verso la prigionia sanitaria prestabilita. Non prima di avere acquistato una carta telefonica locale, al fine di essere costantemente raggiungibili dalle autorità pubbliche.

Noi viaggiavamo in tre: il mio compagno, nostro figlio di cinque anni, ed io.

Per nostra fortuna, soltanto due giorni prima, il protocollo sanitario aveva ammesso la possibilità per le famiglie di trascorrere il periodo di isolamento insieme, in appartamento, anziché in isolamento individuale. Previo tampone molecolare alla partenza dal paese d’origine, tampone molecolare in ingresso e monitoraggio telefonico giornaliero da parte della polizia durante la quarantena.

E così, all’uscita dell’aeroporto, e prima di salire sul taxi, siamo stati dirottati verso una sorta di laboratorio stradale, allestito con decine di cabine prefabbricate, dove ci siamo messi in coda per procedere alla raccolta del campione di saliva.

I primi sessanta secondi nella notte taiwanese sono stati sufficienti per darci un’idea del livello di umidità nell’aria. Afa, trenta gradi, punto di rugiada altissimo: la cosiddetta perspirazione non evaporava dalla pelle! I nostri capelli e i vestiti si sono inzuppati del nostro sudore. In pochi minuti eravamo fradici. Perfino le valigie rigide erano ricoperte da una patina umida.

Ci siamo avvicendati per sputare dentro ai vasetti di plastica previamente etichettati. Ma non bastava: dovevamo sputare di più. Io sono tornata nella cabina per ben tre volte.

Guardavo il nostro bimbo, paziente, con il viso congestionato, che si scioglieva a contatto con l’atmosfera subtropicale che ci toglieva il respiro. Gli occhi sgranati verso le luci artificiali della capitale in lontananza e del terminal tutto intorno a sé, dopo dodici ore di volo con scalo a Istanbul. Gli tenevo stretta la manina, per non perderlo nella calca e per rassicurarlo sulla “ordinarietà” della situazione.

Non appena siamo riusciti a caricare i bagagli su un taxi sanitario e a partire per Kaohsiung, la nostra destinazione nel sud ovest dell’isola, ci siamo stretti sui sedili posteriori e abbiamo avvolto nostro figlio con strati di abiti e tessuti per proteggerlo dagli effetti del condizionamento eccessivo del veicolo. Lo abbiamo abbracciato in mezzo a noi affinché si addormentasse.

Solo a quel punto, il mio compagno ed io abbiamo iniziato a strofinarci i capelli, il viso e il collo, nel tentativo di asciugarli, e infine ci siamo guardati: grondanti, isolati dall’autista mediante una plastica trasparente, una mascherina sul viso ad attutire i nostri scambi, le braccia occupate dagli zaini e dal corpo di nostro figlio. Avevamo scelto di essere lì, per poter essere insieme. Una lunga, lunghissima trasferta di famiglia ci attendeva.

Il mio compagno sapeva cosa aspettarsi. Era al quarto viaggio professionale in questa originale repubblica, al largo delle coste cinesi, che definisce se stessa dal 1949 come Repubblica di Cina (in opposizione alla repubblica Popolare Cinese) e dove la legge marziale è stata ritirata soltanto nel 1987. Eppure, oggi Taiwan è una democrazia libera, sia per quanto riguarda i diritti politici e civili, sia per la libertà dei media.

Io osservavo fuori dal finestrino il risultato di questa democrazia asiatica e le prime sensazioni che ne avevo erano contrastanti.

Mi colpivano: la disciplina e l’ordine di in un paese con un’altissima densità demografica, che permettono tra l’altro di evitare il caos urbano a cui siamo abituati in molte città occidentali; il primato degli interessi collettivi rispetto alla comunità ristretta, o al singolo; l’accettazione di una regolamentazione rigida per molti aspetti della vita quotidiana.

In cambio i servizi, ad esempio i trasporti.

L’autostrada, trafficatissima, scorreva veloce, su corsie lisce e illuminate, affiancata dalla linea ferroviaria ad alta velocità (Taiwan High Speed Railway), del tipo Shinkansen giapponese.

Ma oltre a una rete di trasporto invidiabile, insieme al nostro visto residenti ARC (Alien Resident Certificate, hihihi), ottenuto con fatica dopo due visite all’Ufficio di Rappresentanza a Roma, abbiamo guadagnato, tra le altre cose, il diritto all’assistenza sanitaria pubblica e all’istruzione gratuita.

Il tasso di scolarizzazione e quello di alfabetizzazione sono vicini al 100%. D’altronde, il governo taiwanese attribuisce all’istruzione un’importanza decisiva, destinando a questo capitolo di spesa intorno al 15% della spesa pubblica. La percentuale degli studenti che concludono un percorso universitario è talmente elevata oggi che è possibile osservare un processo migratorio verso la Cina continentale, dove i giovani altamente qualificati sembrano trovare più ampie opportunità lavorative.

Altri scelgono di svolgere professioni sotto qualificate rispetto ai propri studi, o di abbinare due o più occupazioni diverse: ad esempio, quella che sarebbe diventata la mia estetista preferita, è una biologa oceanografica. Si occupa della salute delle popolazioni ittiche e conservazione del pesce per cinque giorni alla settimana. Nel tempo libero, dopo il lavoro e nel week-end, gestisce un piccolo istituto di estetica nel Yancheng District, che si chiama Nude Waxing.

Tutti i taiwanesi che abbiamo conosciuto, la fascia attiva della popolazione, conferisce al duro lavoro, al valore della frugalità e della parsimonia un significato specificamente asiatico orientale. Questo, insieme all’interesse per la famiglia, per l’armonia sociale, per la propria nazione e per un ambiente moralmente integro sono alcuni dei principi asiatici, ideologici e culturali, che ho osservato in maniera molto chiara nei mesi della nostra permanenza.

Ma quella prima notte, la notte del nostro arrivo a Taiwan, a bordo del taxi sanitario che sfrecciava verso sud, tentavo soprattutto di immaginare i paesaggi, che l’oscurità mi celava.

Avrei scoperto da lì a poco scenari magnifici, tra oceano, montagna e foresta tropicale, risaie, piantagioni di tè, di banane, di ananas e mango, isole, riserve naturali, villaggi, templi, mercati e città ultramoderne. Tutto questo racchiuso in un’isola grande una volta e mezzo la Sicilia, con una popolazione di oltre 23 milioni di abitanti!

Dopo circa quattro ore di viaggio silenzioso, senza che mai il nostro autista ci rivolgesse lo sguardo né la parola, abbiamo coperto i quasi quattrocento chilometri che ci separavano da Kaohsiung.

Kaohsiung è il più importante porto di Taiwan e la seconda città del paese per grandezza. Benché il nome di questa città non sia particolarmente evocativo in Europa, Kaohsiung è il quindicesimo porto al mondo per traffico di container (circa 10 milioni di TEU) e copre un’area di ben cinquemila chilometri quadrati (5000 km2!). Se queste cifre non vi dicono nulla, vi basti sapere che si tratta di una metropoli con quasi tre milioni di abitanti (Taipei ne conta altrettanti).

Ma a differenza della capitale, si tratta di una città di provincia, dove i ritmi frenetici lasciano il posto a una migliore qualità della vita: parchi lussureggianti, spiagge, templi antichi e coloratissimi, circondati da laghi cosparsi di fiori di loto, convivono con grattacieli impressionanti e night market.

Kaohsiung possiede una grande area urbana permanente dedicata all’arte, al design e alla cultura. Situato nel distretto portuale di Yancheng, il Kaohsiung Pier 2 Art Center è stato creato nel 2006 in un’area industriale dismessa che una volta faceva parte del porto di Kaohsiung. Il suo obiettivo principale è quello di promuovere l’arte contemporanea e la cultura creativa attraverso mostre, spettacoli, workshop e altre attività culturali. Le installazioni artistiche costeggiano ampi spazi destinati allo svago: passeggiate, running, relax (ad esempio lungo il Love River) e lunghe piste ciclabili, che arrivano fino a Gushan e alla foresta, sulla Montagna delle scimmie.

Il numero di expat che sceglie di vivere nel sud di Taiwan è elevato, anche a causa di un costo della vita più contenuto rispetto a Taipei (in particolare per quanto riguarda gli affitti), della vicinanza al parco naturale di Kenting che si affaccia sul Mare Cinese Meridionale, con le sue spiagge tropicali accecanti di bellezza e scarsamente frequentate (seguirà articolo su Taiwan mare, isolette e tartarughe giganti).

Un misto di curiosità e di ansia mi galleggiava nella gola. Ero impaziente. La circolazione stradale era densissima e lo scorrimento rapido.

Mi ha fatto pensare alle notti a Buenos Aires, nel tornare a casa dopo una serata in milonga. Quando avevo il terrore che gli autisti dei taxi si addormentassero guidando, nel riportarmi a casa alle tre del mattino. E così, di tanto in tanto, quando smettevano di gareggiare l’uno accanto all’altro lungo le corsie dell’Avenida Rivadavia, per fermarsi ai semafori e chiudere gli occhi un attimo, muovevo le ginocchia contro il sedile del guidatore per disturbare il loro momentaneo abbandono.

Ma questa è un’altra avventura, la troverete in un prossimo articolo!

A presto su Expat Experience, narrazioni espatriate.

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