Mario Desiati
Spatriati
EINAUDI, 2021
Romanzo
Spatriati è un Premio Strega. L’ho letto nel 2022 quando ha ottenuto questo riconoscimento per il miglior libro di narrativa italiana contemporanea di quell’anno. Il volume che avevo acquistato è andato disperso a causa dei miei trasferimenti, l’ho quindi ricomprato nei giorni scorsi per scriverne qui, nonostante in molti lo abbiano recensito nel frattempo. In particolare, volevo ritrovare le prime righe del paragrafo in cui l’autore definisce, attraverso la voce del protagonista, il significato di questo titolo polisemico. Mi ricordavo che il termine Spatriati è una specie di falso amico, che non indica necessariamente gli “espatriati”. O forse sì. Adesso vediamo.
Il protagonista del romanzo di Mario Desiati è un ragazzo introverso, Francesco, che cresce in una cittadina della Puglia, Martina Franca. Abbiamo di fronte una famiglia di impronta cattolica tradizionale, in cui i genitori vivono assieme nonostante l’evidente disamore per la semplice e “crudele legge del quieto vivere”. In questo contesto di provincia, Claudia, la co-protagonista, è una compagna di scuola che rappresenta il fronte opposto di Francesco: bella, sfacciata e sfavillante, con l’aria di essere piovuta da un altro pianeta, la spatriata, “come qui chiamano gli incerti, gli irregolari, gli inclassificabili, a volte i balordi o gli orfani, oppure celibi, nubili, girovaghi e vagabondi (…)”.
Nelle prime pagine l’autore ci dice già moltissimo di questi due giovani personaggi, ci dice quasi tutto: del rapporto di Francesco con la famiglia e con la religione, del desiderio e dell’ammirazione per Claudia, questa ragazza che non si cura di nessuno, evoluta e illuminata, perfino nell’aspetto fisico diversa dagli altri, altissima, con gli occhi “di bosco”, uno castano e uno verde azzurro, sempre con le cuffie sulle orecchie. La caratterizzazione dei due opposti sembra fin troppo scontata. Fino al primo punto di svolta nella narrazione, quando la madre di Francesco, infermiera, lascia inaspettatamente la famiglia. I due adolescenti scoprono allora di avere un punto in comune: è proprio Claudia a comunicare a Francesco, nel suo modo provocatorio, ruvido e tagliente, che la madre è andata a vivere con il padre di lei, chirurgo dell’ospedale dove entrambi lavorano. Il trauma è tale che diventa un collante. Da quel momento decidono di essere alleati in questa scandalosa diversità.
Al crescere della loro amicizia, si allontanano inesorabilmente dai coetanei e dalla mentalità di paese che li circonda, leggono letteratura colta e iniziano a intraprendere la direzione verso ciò che vorranno essere: ovvero liberi. Claudia sarà la prima a lasciare fisicamente la terra d’origine per trasferirsi prima a Milano e poi in Germania, a Berlino. Evidentemente più inquieta e più coraggiosa di Francesco, affronta le proprie scelte riadattandosi alle nuove realtà e all’incredibile varietà umana che incontra, riconsiderando senza giudizio il proprio carattere, i propri obiettivi, i propri orientamenti sessuali, e, più in generale, la propria identità. Francesco, da sempre attratto dall’amica e coinvolto in un sentimento difficile da definire, la osserva a distanza, fossilizzato nei propri dubbi, nella solitudine e nella frustrazione.
Ed ecco che, quando finalmente Francesco decide di raggiungere Claudia, l’espatrio si configura definitivamente come il fulcro della narrazione, evidenziando le difficoltà di sentirsi stranieri e le sfide legate all’integrazione in una diversa realtà culturale. La vita a Berlino, frenetica, vorticosa e feroce, vissuta a contatto di personaggi marginali, sospesi tra audacia e smarrimento, diventa il terreno su cui Claudia e Francesco compiono il loro percorso di crescita identitaria: “ci scambiavamo alcune intuizioni sulla nostra identità ma senza coglierne l’essenza”.
Questi giovani spatriati, senza punti di riferimento e privi di un’identità chiara, procedono per tentativi. La dimensione essenziale e spartana della vita all’estero si rivela per i due protagonisti un’opportunità. Passando attraverso vicissitudini e fallimenti – la perdita degli amici, un licenziamento, il confronto con le logiche spersonalizzanti delle multinazionali – Claudia e Francesco sembrano imparare a vivere di sensazioni. Si abbandonano alla spossatezza, all’alterazione delle droghe, alla promiscuità del sesso, alla liberazione dei corpi, alla tensione dei litigi, all’elettricità dell’euforia. Attraverso le sensazioni, Francesco si concede di conoscere meglio se stesso.
Più in generale, attraverso l’esperienza dell’espatrio – quindi in campo neutro – i due personaggi compiono un percorso di nuova consapevolezza, scoprendo il proprio carattere e i propri bisogni. Questo li porta ad approfondire il rapporto con la loro fisicità, a confrontarsi con gli stereotipi e le paure che li hanno sempre accompagnati: le convenzioni sociali, le aspettative mancate e gli insuccessi della vita, ma anche la relazione con la figura materna e con le proprie origini.
Nella ricerca di sé stessi, espatriare è l’unica scelta possibile per dare forma concreta alle proprie aspirazioni. Pur con la nostalgia costante per la terra profumata e assolata che è la Puglia, che sa essere ammaliante ma non inclusiva. L’autore costringe i personaggi ad avanzare in una dimensione di inquietudine e scomodità, che è necessario attraversare per affrancarsi dai giudizi e dall’ipocrisia provinciale dell’Italia del sud. Per ritrovarsi, alla fine del romanzo, in un luogo fuori dal tempo, dove è possibile restare seduti tra i frutteti a leggere poesie e avere “l’illusione di essere salvi”.
La scrittura di Desiati è cruda, violenta, troppo onesta per lasciare indifferente il lettore. È lo strumento adeguato a tratteggiare un romanzo di formazione i cui personaggi principali hanno la colpa di essere giovani, curiosi, e di non sottostare ai ruoli che la società impone loro. Non a causa di un’indole particolarmente ribelle. Ma perché sono incerti, insicuri, figli di irregolari, quindi diversi, alieni, “o forse, nel caso che ci riguarda, i liberati”.
Esperienza di lettura: la liberazione
L’esperienza di lettura di questo romanzo è indissolubile dalla sensazione di fuga. Fuga da un ambiente italiano – di cui la Puglia è emblema e personificazione – che non lascia scampo a una generazione confusa, senza certezze né particolari speranze. In questo senso, come per molti di noi, la partenza e l’espatrio rappresentano il gesto più significativo per mettere distanza da un sistema fastidioso di pregiudizi e convenzioni sociali che ancora oggi ristagna e resiste.
Ma si tratta di un gesto che non è fine a se stesso. È propedeutico al conoscersi meglio, al riappropriarsi di se stessi e della propria identità. Così facendo è possibile liberarsi dalle pressioni sociali e dalla pesantezza della clandestinità – in senso ampio, come figlie/i, come donne/uomini. In questo senso, rischiare è necessario, ineluttabile per individuare nuove prospettive. È necessario per evolvere e per salvarsi.
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